L’ATTO IMPOSITIVO PUÒ ESSERE IMPUGNATO DAL CONTRIBUENTE DICHIARATO FALLITO

Infatti, «in caso di rapporto d'imposta i cui presupposti si siano formati dopo la dichiarazione di fallimento, sull'assunto che il contribuente dichiarato fallito abbia continuato a svolgere attività in proprio, sussiste la legittimazione di quest'ultimo in ordine all'impugnazione dell'atto impositivo». Con sentenza n. 11352 del 29 aprile 2024, la sezione Tributaria della Suprema Corte afferma il seguente  principio di diritto:  «in caso di rapporto d'imposta i cui presupposti si siano formati dopo la  dichiarazione di fallimento, sull'assunto che il contribuente dichiarato  fallito abbia continuato a svolgere attività in proprio, sussiste la legittimazione di quest'ultimo in ordine all'impugnazione dell'atto impositivo». La questione riguarda un socio, già dichiarato fallito unitamente alla s.n.c., che impugnava, in proprio, dinanzi alla CTP di Benevento, l'avviso di accertamento con il quale, per l'anno d'imposta 2006, era stato recuperato a tassazione, ai fini IRPEF, un maggior reddito in ragione di operazioni bancarie ritenute non giustificate, operate sul suo conto corrente personale dopo la data del fallimento. Il curatore di entrami i fallimenti, al quale non era stato notificato l'avviso di accertamento emesso in costanza di procedura e per redditi successivi alla dichiarazione di fallimento impugnava autonomamente la cartella esattoriale emessa a titolo d'iscrizione provvisoria che, invece, era stata notificata alla curatela. La CTP dichiarava la nullità dell'avvi so di accertamento perché non notificato al curatore, stante la mancanza di capacità processuale del fallito: rilevava che la procedura concorsuale era ancora pendente e che quindi non vi era questione di redditi di esclusiva natura personale del fallito non essendo ipotizzabile un'attività parallela al di fuori della procedura.  L'Ufficio frapponeva appello rilevando che al momento dell'emissione dell'avviso di accertamento non conosceva lo status di fallito del contribuente, in quanto ne era venuto a conoscenza solo successivamente. Pertanto, sosteneva che si verteva in un'ipotesi di inerzia degli organi fallimentari sicché vi era la capacità processuale del fallito in proprio, tanto più che l'attività accertata consisteva in una nuova impresa com merciale, autonoma rispetto a quella esercitata dalla società fallita. La CTR rigettava l'appello e rilevava che al momento della notifica dell'avviso di accertamento il contribuente era stato già dichiarato fallito e che l'avviso di accertamento non era stato notificato al curatore.  Precisava quindi che, a seguito del fallimento, tutti i beni pervenuti al socio in corso di procedura, erano ricompresi nell'attivo fallimentare sicché la rappresentanza processuale spettava solo al curatore. Avverso tale decisione ricorre in via principale l'Amministrazione finanziaria. In sede di legittimità, il Fisco contesta la sentenza impugnata nella parte in cui riteneva inefficace la notificazione dell'avviso di accertamento al contribuente affermando la perdita della sua capacità processuale ed escludeva possibilità da parte di quest'ultimo di svolgere attività personale.

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